Ancora una pronuncia in tema di uso fraudolento della carta prepagata emessa da Poste Italiane, riconducibile ad una probabile ipotesi di phishing, essendo la transazione stata eseguita on line da ignoti carpendo i dati della carta stessa e le credenziali di autenticazione del legittimo ignaro titolare, secondo la prospettazione attorea.
Con sentenza n. 990/15 del 9 marzo – 2 aprile 2015, il Giudice di Pace di Ischia, dott. Dario Bellecca, in accoglimento della domanda proposta da un titolare Postepay, ha condannato l’istituto emittente al pagamento della somma oggetto della transazione illecita, ritenendo incombesse su quest’ultimo l’obbligo di garantire l’assoluta sicurezza del sistema e, dunque, di provare che l’inadempimento è derivato da cause a lui non imputabili.
La domanda attorea è fondata e va accolta.
Gli Istituti di credito e anche le Poste quando svolgono la medesima funzione, nel momento in cui mettono a disposizione dei clienti servizi telematici, devono garantire l’assoluta sicurezza del sistema.
L’Istituto, infatti, custodisce il danaro affidatogli e non può non rispondere di eventuali azioni dolose di terzi che riescono a violare i sistemi di sicurezza.
La fattispecie è riconducibile all’ipotesi di responsabilità contrattuale derivante da un deposito irregolare pertanto ad essa sono applicabili gli artt. 1176 comma 2 c.c., 1218 c.c. e, per quanto interessa, 1768 c.c., di tal ché, in caso di perdite, l’Istituto depositario, nel caso la S.p.A. Poste Italiane, non si libera della responsabilità ex recepto semplicemente provando di aver predisposto un diligente e accorto servizio di prevenzione secondo i parametri prescritti dall’art. 1768 c.c. Ed infatti, trattandosi di obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve essere valutata riguardo alla natura dell’attività esercitata. Esso Istituto, deve, insomma, dimostrare, a mente dell’art. 1218 c.c., che l’inadempimento è derivato da causa a lei non imputabile (Cass. 4928/2011). Nella fattispecie, si deve affermare, quindi, che il regime dell’onere della prova va ripartito nel senso che l’attore deve dimostrare l’esistenza di un deposito postale nonché la sottrazione di una somma di danaro dal suo deposito contro la sua volontà mentre l’Istituto di credito dovrà dimostrare che l’inadempimento è derivato da cause a lui non imputabili.
(…)
Alla luce delle dichiarazioni testimoniali nonché dalla documentazione agli atti e in particolare dall’estratto conto depositato, deve ritenersi che mentre l’attore ha dimostrato il proprio assunto, dall’altro la convenuta non ha dato prova di aver adottato tutti i mezzi utili a prevenire le pur prevedibili operazioni intrusive da parte di hacker né che l’accaduto è imputabile non a lei ma a negligenza del cliente.
Alla luce di quanto esposto la domanda attrice va accolta con conseguente condanna della S.p.A. Poste Italiane al pagamento della somma di € 1.700,00 come richiesta in citazione e come provata dall’estratto conto agli atti.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, tenuto conto del D.M. 55/2014.
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