Con sentenza n. 4426 depositata in data odierna, il TAR Lazio – Sezione Prima, accogliendo in parte il ricorso proposto dall’Associazione Nazionale Forense e dall’Avv. Luigi Pansini, in proprio, per l’annullamento del decreto del Ministro della giustizia n. 144/15 (regolamento recante disposizioni per il conseguimento ed il mantenimento del titolo di avvocato specialista), ha annullato le previsioni contenute nell’art. 3, comma 1, del regolamento impugnato, dalla lettera a) alla lettera t) e le previsioni di cui all’6, comma 4, del medesimo regolamento.
I ricorrenti avevano sostenuto, tra l’altro, la estrema irrazionalità e incongruenza dell’elenco delle materie nelle quali è possibile conseguire il titolo di specialista.
La doglianza è stata così giudicata fondata dal Collegio amministrativo:
Né dalla mera lettura dell’elenco, né dalla relazione illustrativa del Ministero è dato, infatti, cogliere quale sia il principio logico che ha presieduto alla scelta delle diciotto materie.
Ed infatti non risulta rispettato né un criterio codicistico, né un criterio di riferimento alle competenze dei vari organi giurisdizionali esistenti nell’ordinamento, né infine un criterio di coincidenza con i possibili insegnamenti universitari, più numerosi di quelli individuati dal decreto.
L’incompletezza dell’elenco era stata già rilevata dal Consiglio di Stato che si è pronunciato in sede consultiva sullo schema di regolamento, con rilievo al quale il Ministero si è adeguato in maniera parziale.
Piuttosto sembra che si sia attinto, solo per frammenti, a ciascuno di tali criteri, senza che tuttavia emerga un unitario filo logico di selezione.
Considerata la delicatezza della disciplina posta e la necessaria funzionalizzazione della normazione secondaria alla perseguita finalità di rendere il mercato delle prestazioni legali più leggibile per i consumatori, non è dunque possibile condividere l’argomentazione difensiva spesa dall’amministrazione, secondo cui la censura impingerebbe in una valutazione di merito riservata all’amministrazione.
Ed infatti, anche le valutazioni e le scelte rimesse all’attività regolamentare non possono sottrarsi al rispetto dei principi di intrinseca ragionevolezza e di adeguatezza rispetto allo scopo perseguito.
L’art. 3 del regolamento deve essere, di conseguenza, annullato in parte qua.
Il secondo argomento svolto dai ricorrenti condiviso dal TAR Lazio è quello relativo alla previsione regolamentare, contenuta nell’art. 6 del d.m. in esame, in forza della quale l’avvocato che voglia conseguire il titolo di specialista sulla base della comprovata esperienza professionale deve sostenere un colloquio sulle materie comprese nel settore di specializzazione dinanzi al Consiglio nazionale forense.
Sul punto il TAR così si pronuncia:
L’accoglimento della doglianza (…) va correlato, come pure correttamente dedotto dai ricorrenti, alla intrinseca irragionevolezza della norma per genericità, non avendo la disposizione regolamentare chiarito alcunché in ordine al contenuto del colloquio e alle modalità di svolgimento dello stesso.
L’assenza di specificazioni e di definizioni puntuali è dunque tale da conferire al Consiglio nazionale forense una latissima discrezionalità operativa, che, oltre ad essere foriera di confusione interpretativa e distorsioni applicative (con ricadute anche in punto di concorrenza tra gli avvocati), si pone in assoluta contraddizione con la funzione stessa del regolamento in esame, che, ai sensi dell’art. 9 della legge, è quella di individuare un procedimento di conferimento definito in maniera precisa e dettagliata, a tutela dei consumatori utenti e degli stessi professionisti che intendano conseguire il titolo.
In parte qua, di conseguenza, va annullato l’art. 6 del regolamento.
Il testo integrale della sentenza può essere letto qui.
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