Un caso di condanna dell’opponente al pagamento di una ulteriore somma, equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c.
La parte esecutata di una procedura espropriativa aveva esperito il rimedio dell’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi per denunciare in primo luogo il vizio formale del titolo per l’erroneo riferimento alla parte nei cui riguardi era stato spedito in forma esecutiva.
Ad avviso dell’opponente, il titolo esecutivo sarebbe stato rilasciato a soggetto diverso dalla parte e dal suo procuratore costituito, ciò però assumendo sulla scorta di una parziale discordanza tra l’effettivo nominativo del difensore e quello indicato dal cancelliere in calce alla formula esecutiva (discordanza consistita nell’omissione di qualche vocale e nell’inserimento nel testo di una consonante erronea…).
Il motivo è stato giudicato meramente pretestuoso dal Giudice dell’Esecuzione presso il Tribunale di Napoli, dott. Mario Ciccarelli, chiamato a pronunciarsi incidentalmente sull’istanza di sospensione.
Il rilascio della copia esecutiva del titolo – si legge nell’ordinanza di rigetto depositata il 16 luglio 2019 – ben può essere effettuato nelle mani del difensore costituito della parte (è quanto accade nella quasi totalità dei casi) senza che ciò infici la spedizione: l’indicazione del nominativo del difensore al quale è rilasciata la copia esecutiva, in difetto di altra specificazione circa la qualità di antistatario spesa dall’avvocato, lascia presumere che il rilascio sia effettuato nell’interesse della parte, benchè il difensore abbia provveduto a curare la richiesta ed il ritiro della formalità.
Nella specie, la parziale discordanza tra l’effettivo nominativo del difensore (…) e quello indicato in calce alla formula esecutiva (“…”) della copia notificata al debitore, non è in grado di inficiare l’efficacia esecutiva del titolo, atteso che l’errore, neppure imputabile alla parte, non genera alcun equivoco, essendo evidente con l’uso della ordinaria diligenza che il riferimento sia al difensore costituito nell’interesse della parte.
Ad ogni buon conto e fermi tutti i rilievi assorbenti appena evidenziati, non può che convenirsi con la difesa della opposta, nella parte in cui ha richiamato l’orientamento in forza del quale “L’omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore e da questi notificata al debitore determina una irregolarità formale del titolo medesimo, che deve essere denunciata nelle forme e nei termini di cui all’ art. 617 c.p.c. , comma 1, senza che la proposizione dell’opposizione determini l’automatica sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’ art. 156 c.p.c. , comma 3. Tuttavia, in base ai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, il debitore opponente non può limitarsi, a pena di inammissibilità dell’opposizione, a dedurre l’irregolarità formale in sé considerata, senza indicare quale concreto pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo essa abbia cagionato” (Cassazione civile, sez. III, 12/02/2019, n. 3967).
Ritenute poi infondate anche le ulteriori doglianze, il Giudice ha condannato l’opponente al pagamento delle spese della fase processuale ed ha, inoltre, accolto l’istanza di condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. formulata dalla opposta, quantificando equitativamente la somma da corrispondere a tale titolo in € 500,00.
Invero, il rimedio azionato dalla parte, attesa l’evidente inconsistenza dei motivi di opposizione, integra un vero a proprio abuso del diritto di difesa, piegato a fini strumentali e dilatori, piuttosto che alla effettiva tutela dei diritti.
Come è noto, la condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’ art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite (nella specie, una lite endoprocessuale), di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno (cfr. Cassazione civile, sez. un., 13/09/2018, n. 22405).
Al contempo, va dato seguito all’orientamento in forza del quale “La condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’ art. 96, comma 3, c.p.c., che configura una sanzione di carattere pubblicistico, non presuppone l’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, ma soltanto di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente” (Cassazione civile, sez. III, 11/10/2018, n. 25176).
Senza trascurare che la norma in disamina prevede una possibilità di liquidazione di somme non necessariamente collegata al danno, come invece la condanna del primo comma del medesimo articolo.
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