In tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica in circolazione è risarcibile non ex art. 2043 c.c., ma ai sensi dell’art. 2052 c.c., poiché tale ultima disposizione non contiene alcun espresso riferimento ai soli animali domestici, ma riguarda, in generale, quelli suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell’uomo, prescindendo dall’esistenza di una situazione di effettiva custodia degli stessi.
Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione (Sezione Terza civile) con l’ordinanza n. 13848 del 06/07/2020, particolarmente interessante per la disamina funditus dell’intera tematica ed il contributo dato – a scopo nomofilattico – alla eliminazione dei contrasti giurisprudenziali e delle incertezze nella individuazione del soggetto che debba farsi carico dei danni.
Contrasti e incertezze derivanti – ad avviso della Corte – proprio dalla scelta iniziale di escludere il regime previsto dall’art. 2052 cod. civ.
Che sussista un diritto di proprietà statale in relazione ad alcune specie di animali selvatici – ha aggiunto la Corte – è conseguenza che deriva tanto dalla loro appartenenza al patrimonio indisponibile dello Stato, quanto, soprattutto, dall’essere tale regime di proprietà pubblica espressamente disposto in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema e, poiché tale funzione si realizza mediante l’attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere sostitutivo) sugli altri enti, titolari di più circoscritte funzioni amministrative nello stesso ambito, è in capo alle Regioni che va imputata la responsabilità, ai sensi dell’art. 2052 cod. civ.
La ordinanza in commento contiene anche alcune precisazioni (sempre a fini nomofilattici) che attengono: ai presupposti per l’imputazione della responsabilità, in applicazione del suddetto criterio ex art. 2052 cod. civ.; all’individuazione dell’effettivo oggetto della prova liberatoria gravante sulla Regione; alle conseguenze scaturenti dal negligente esercizio delle funzioni amministrative, delegate o proprie, da parte di altri enti (in particolare, ma non solo, le Province).
Quanto al regime di imputazione della responsabilità, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’art. 2052 cod. civ., sarà a carico del preteso danneggiato allegare e dimostrare che il pregiudizio lamentato sia stato causato dall’animale selvatico. Siffatto onere potrà ritenersi soddisfatto allorché sia stata dimostrata la dinamica del sinistro, nonché il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992, o, comunque, che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.
Nella peculiare ipotesi – invero, statisticamente piuttosto frequente – di danni derivanti da incidenti stradali che abbiano coinvolto veicoli e animali selvatici, non potrà ritenersi sufficiente la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata, e dell’impatto tra lo stesso ed il veicolo, in quanto il danneggiato, oltre a dover provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” dell’evento dannoso, è comunque onerato – ai sensi dell’art. 2054, comma 1, cod. civ. – della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di avere, nella specie, adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida.
Quanto alla prova liberatoria, che ha ad oggetto la dimostrazione che il fatto sia avvenuto per “caso fortuito”, premesso che essa non riguarda direttamente il nesso di causa tra la concreta e specifica condotta dell’animale ed il danno causato da tale condotta, consisterà nel dimostrare che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, operando, così, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno. Occorrerà, in altri, provare che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che, comunque, non era evitabile, e ciò anche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell’incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta.
Infine, per venire all’ultimo dei tre profili di cui sopra si diceva, chiariti i termini in cui l’attore/danneggiato è tenuto ad assolvere i propri oneri probatori, e la Regione, per parte propria, a fornire la prova del caso fortuito, qualora essa, convenuta in giudizio per il risarcimento, reputi che le misure idonee ad impedire il danno avrebbero dovuto essere adottate da un altro ente, potrà – anche in quello stesso giudizio – agire in rivalsa, senza, però, che ciò implichi modifica, in relazione all’azione posta in essere dal danneggiato, del criterio di individuazione del titolare, da lato passivo, del rapporto dedotto in giudizio.
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