Giudizio di appello e nullità sentenza di primo grado: ammissibile il ricorso per cassazione
Con sentenza n. 29529 del 25 giugno 2009, depositata il 16 luglio 2009, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (Presidente T. Gemelli. Vitrone, Relatore A. Macchia), nel risolvere un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato l’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza con la quale il giudice di appello abbia dichiarato la nullità di quella di primo grado, rinviando gli atti al tribunale per il nuovo giudizio, sempre che il ricorrente abbia un interesse concreto ed attuale.
In applicazione di tale principio, la S.C. ha accolto il ricorso del Procuratore generale avverso la sentenza di annullamento della sentenza di condanna pronunciata in primo grado ed appellata dal solo imputato.
Legge 104 e trasferimento per incompatibilità ambientale
Decidendo una questione ritenuta “di particolare importanza”, con sentenza depositata il 9 luglio 2009, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno affermato il principio secondo cui, in tema di assistenza alle persone handicappate, il diritto del familiare lavoratore, che assiste con continuità un familiare od affine portatore di handicap, a non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non possa essere invocato ove il lavoratore versi in una situazione di incompatibilità ambientale.
Alla luce di una interpretazione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 orientata alla complessiva considerazione dei principi e dei valori costituzionali coinvolti, hanno affermato le Sezioni Unite, il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, mentre non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell’azienda, ovvero della pubblica amministrazione, non è invece attuabile ove sia accertata, in base ad una verifica rigorosa anche in sede giurisprudenziale, la incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro.
Abusi in zona vincolata e condono edilizio
La Suprema Corte si pronuncia nuovamente sulla questione della condonabilità delle opere realizzate in zona vincolata e, con la sentenza n. 24647 del 24 marzo – 15 giugno 2009 (Sezione Terza Penale, Presidente Pierluigi Onorato e Relatore Amedeo Franco), in una fattispecie nella quale l’imputato era stato condannato per aver eseguito un intervento edilizio in area paesaggisticamente vincolata, afferma – anche tenuto conto dei recenti interventi della Corte Costituzionale (sent. n. 54 del 2009; ord. n. 150 del 2009) – che la condonabilità è esclusa non soltanto se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta, ma anche nel caso in cui l’area sia sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa.
In materia edilizia, le opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici possono ottenere la sanatoria ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32, commi 25, 26 e 27, convertito con la L. 24 novembre 2003 n. 326, solo per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispodenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1; restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), che siano conformi agli strumenti urbanistici (abusi formali), e previo parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo. Sicché sono escluse dal condono tutte le nuove costruzioni realizzate, in assenza o in totale difformità dal titolo edilizio in zona assoggettata ad uno dei predetti vincoli (ex plurimis, Sez. III, 10.5.2005, n. 33297, Palazzi, m. 232186; Sez. III, 11.6.2008, n. 37273,Carillo; Sez. III, 26.10.2007, n. 45242, Tirelli).
Come chiarito dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 54 del 2009), i vincoli preclusivi della sanatoria non devono necessariamente comportare l’inedificabilità assoluta.
Con la stessa pronuncia, la Corte di Cassazione ribadisce inoltre l’orientamento secondo cui il condono ambientale introdotto dall’art. 1, commi 37, 38 e 39 L. n. 308 del 2004 estingue esclusivamente il reato di cui all’art. 181 D.lgs. n. 42 del 2004 e gli altri reati paesaggistici, ma non si estende al reato edilizio attesa la mancanza di norme di coordinamento, diversamente da quanto disciplinato con la L. n. 326 del 2003 (cosiddetto condono edilizio), che espressamente prevedeva che il rilascio del titolo abilitativo edilizio estinguesse anche il reato per la violazione del vincolo (Sez. III, 7.12.2007, verrillo, m. 234327; Sez. III, 5.4.2006, Turco, m. 234327).
Licenziamenti plurimi individuali e diritto di precedenza
Con la sentenza 27 maggio 2009, n. 3214, la Corte di Appello di Napoli – Sezione Lavoro, in linea con l’orientamento della Suprema Corte che definisce “ormai consolidato“, afferma che il diritto (soggettivo) alla riassunzione spetta al lavoratore licenziato non solo nel caso di licenziamento collettivo ma altresì nelle ipotesi di licenziamenti plurimi individuali.
La Corte di Cassazione, aggiunge il collegio napoletano, nel richiamare di recente il consolidarsi in sede di legittimità dell’orientamento che ammette la configurabilità di un diritto soggettivo alla precedenza nella assunzione in presenza dei presupposti dalla stessa norma previsti, ha ribadito che tale diritto si estingue con lo spirare del termine di un anno (ora, sei mesi, per effetto della modifica introdotta dal D.lgs. 297/2002) dalla cessazione del rapporto ed è invece tutelato laddove il datore decida di procedere alle nuove assunzioni entro il predetto termine, dovendosi attribuire rilievo alla decisione organizzativa datoriale, esternata di norma con la richiesta di avviamento (Cass. 14293/2002 in motivazione). In tale occasione – prosegue la Corte di Appello di Napoli – il Supremo Collegio ha aggiunto ancora che il diritto in esame, pur non essendo configurabile esclusivamente in presenza di decisioni di assumere a tempo pieno e indeterminato, postula l’ulteriore condizione che si tratti di assunzioni decise nella “stessa qualifica”, quando cioè vi sia una sostanziale coincidenza tra la professionalità di cui l’azienda abbisogna e quella posseduta dai lavoratori con diritto di precedenza, senza che occorra altresì l’identità dei livelli di inquadramento formale. Peraltro, alcune forme di lavoro c.d. flessibile non potrebbero essere impiegate per offrire lavoro agli aventi diritto (come nel caso dei contratti di formazione e lavoro ovvero dei contratti di lavoro interinale, che presuppongono l’intercorrenza del rapporto con un diverso soggetto). Poiché, peraltro, il diritto di precedenza non è tutelabile ex art. 2932 c.c. alla sua violazione non può che scaturire il diritto al risarcimento del danno (Cass. 4008/1997). Una volta che il lavoratore creditore abbia dimostrato l’esistenza dei presupposti per la tutela, competerà al datore di lavoro la prova della assoluta inevitabilità della scelta ovvero della impossibilità di procedere alla stipula dei contratti con gli ex dipendenti nel riparto dell’onere probatorio posto dall’art. 1218 c.c.
Nella specie, la Corte di Appello di Napoli ha confermato la decisione del primo giudice che aveva ritenuto non fornita dal lavoratore la prova della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, nulla avendo sul punto dedotto nel ricorso introduttivo e neppure allegato che siano state effettuate assunzioni, nella stagione successiva, nella stessa qualifica di appartenenza.
Riforma del processo civile, il nuovo filtro in cassazione
E’ di certo prematuro esprimere valutazioni in ordine alla efficacia delle misure introdotte con la recente mini-riforma del processo civile. Il tempo dirà, in particolare, quali effetti avrà prodotto il nuovo “filtro” per l’accesso al giudizio di cassazione, disciplinato dall’art. 360-bis c.p.c., che ora prevede due casi di “Inammissibilità del ricorso” (così la rubrica dell’articolo):
1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo.
La decisione sulla inammissibilità del ricorso è affidata ad apposita sezione, a comporre la quale sono chiamati, di regola, magistrati appartenenti a tutte le sezioni.
Eliminato l’onere di formulazione del quesito di diritto.
La riforma del processo civile, l’eccezione di incompetenza
La Legge 18 giugno 2009, n. 69, ha modificato l’art. 38 c.p.c. (rubricato “Incompetenza“). Il nuovo testo, in vigore dal 4 luglio 2009, così recita:
L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata.
L’eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente.
Fuori dei casi previsti dall’articolo 28, quando le parti costituite aderiscono all’indicazione del giudice competente per territorio, la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione della stessa dal ruolo.
L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall’articolo 28 sono rilevate d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’articolo 183.
Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni.
La modifica ha comportato conseguenze dirette anche sulla formulazione dell’atto di citazione, che deve ora contenere l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’articolo 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167.
Riforma del processo civile, la competenza del Giudice di Pace
La legge di riforma del processo civile ha elevato la competenza del giudice di pace per le cause relative a beni mobili e per quelle di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti, aggiungendo una ulteriore materia riservata alla sua competenza esclusiva, quella relativa alle cause concernenti gli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali. Di seguito si trascrive il nuovo testo dell’art. 7 c.p.c.
Il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinquemila euro, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice.
Il giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi ventimila euro.
È competente, qualunque ne sia il valore:
1) per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi;
2) per le cause relative alla misura e alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case;
3) per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità;
3-bis) per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali.
Affissione abusiva di manifesti e responsabilità del committente
In tema di sanzioni amministrative emesse, ai sensi dell’art. 24 del d. lgs. 15 novembre 1993 n. 507, per l’affissione di manifesti contenenti messaggi pubblicitari senza la prescritta autorizzazione, la Corte di Cassazione (sentenza n. 13770 del 12 giugno 2009, Sezione Seconda Civile, Presidente G. Settimj, Relatore P. D’Ascola), ha affermato il seguente principio di diritto:
la responsabilità solidale della persona giuridica – o dell’ente privo di personalità giuridica, nel caso di violazione commessa dal rappresentante o dal dipendente degli enti medesimi, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze – consente di includere nell’ambito applicativo della norma non soltanto i casi in cui il soggetto sia legato alla persona giuridica o all’ente da un formale rapporto organico ovvero da un rapporto di lavoro subordinato, ma anche tutti i casi in cui i rapporti siano caratterizzati in termini di affidamento (inteso come materiale consegna all’autore della violazione del materiale pubblicitario) o di avvalimento (inteso come attività di cui il committente profitta), a condizione, però, che l’attività pubblicitaria sia sicuramente riconducibile all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio pubblicitario o che sia documentato il rapporto tra autore della trasgressione (rimasto ignoto nella specie) ed ente o persona giuridica opponente, restando comunque escluso che il beneficiario del messaggio pubblicitario sia solidalmente responsabile della violazione per il solo fatto di averne tratto giovamento.
Con la sentenza in esame, la Corte ha annullato la decisione del Giudice di Pace di Roma che, nel rigettare l’opposizione proposta da una società nei confronti della quale il Comune aveva irrogato una sanzione amministrativa per violazione delle norme comunali sull’affissione e la pubblicità, rilevava che fondatamente la società opponente era stata ritenuta solidalmente responsabile, con l’autore materiale rimasto ignoto, della affissione su un cassonetto della spazzatura di un manifesto contenente il nome della società e il numero di telefono.