La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12220 del 13 marzo 2012 – depositata il 2 aprile 2012 (Sezione Prima Penale, Presidente P. Baldovagni, Relatore U. Zampetti), facendo applicazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che ha acquisito diretta efficacia nell’ordinamento nazionale a partire dal 25 dicembre 2010 per mancato adeguamento, ha ritenuto, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia del 28 aprile 2011, El Dridi, che non sia più previsto come reato il reingresso nel territorio dello Stato del soggetto già espulso e che abbia a verificarsi oltre il termine di cinque anni dall’avvenuta espulsione, perché la norma incriminatrice di cui all’art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286 del 1998 è in contrasto, nella parte in cui fissa in dieci anni la durata del divieto, con l’art. 11, par. 2, della citata direttiva, secondo cui la durata del divieto non può superare i cinque anni.
Sul divieto di formulare domande suggestive
Nonostante il divieto di formulare al testimone domande suggestive sia dalla legge espressamente previsto con riferimento alla sola parte che ha chiesto la citazione del teste, lo stesso deve tuttavia applicarsi a tutti i soggetti che intervengono nell’esame testimoniale, operando, ai sensi del comma 2 dell’art. 499 cod. proc. pen., per tutti costoro, il divieto di porre domande che possano nuocere alla sincerità della risposta e dovendo anche dal giudice essere assicurata in ogni caso la genuinità delle risposte ai sensi del comma sesto del medesimo articolo.
Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione (Terza Sezione Penale, Presidente G. De Maio, Relatore A. M. Lombardi), con la sentenza n. 7373 del 18 gennaio/24 febbraio 2012, relativamente, in particolare, alla assunzione della testimonianza di una minorenne su fatti concernenti la responsabilità del padre. La Suprema Corte ha altresì precisato, richiamando un precedente della stessa sezione, che a maggior ragione tali divieti e precauzioni devono essere osservati allorquando si procede all’esame diretto di un teste che sia minore, in quanto, se da un lato si può affermare che i bambini non tendono a mentire consapevolmente, dall’altro deve tenersi conto che gli stessi presentano modalità relazionali orientate in senso imitativo e adesivo e risultano, perciò, influenzabili dalle suggestioni che possono essere insite nelle domande degli adulti e tendono a formulare rispote che ne assecondino le richieste.
Misure cautelari, nuova pronuncia della Consulta
Con sentenza n. 231 depositata il 22 luglio 2011, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38 nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
Omicidio volontario, illegittima la norma sulla custodia cautelare
Con la sentenza n. 164, depositata in data odierna, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 575 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
La Consulta, dopo aver richiamato la propria pronuncia dello scorso anno (sent. n. 265), con la quale aveva già dichiarato costituzionalmente illegittima la norma censurata, nella parte in cui sancisce una presunzione assoluta – anziché soltanto relativa – di adeguatezza della sola custodia in carcere a soddisfare le esigenze cautelari nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti a sfondo sessuale: in particolare, per i reati di induzione o sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale e atti sessuali con minorenne (artt. 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater cod. pen.), ritiene che le considerazioni svolte in tale occasione possano valere, con gli opportuni adattamenti, anche nel caso del delitto di omicidio volontario: “nonostante l’indiscutibile gravità del fatto – la quale peserà opportunamente nella determinazione della pena inflitta all’autore, quando ne sia riconosciuta in via definitiva la colpevolezza – anche nel caso dell’omicidio, la presunzione assoluta di cui si discute non può considerarsi, in effetti, rispondente a un dato di esperienza generalizzato, ricollegabile alla «struttura stessa» e alle «connotazioni criminologiche» della figura criminosa”.
Guida in stato di ebbrezza e tasso alcoolemico
In tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini del superamento delle soglie di punibilità stabilite dall’art. 186, comma 2, lett. a), b) e c), Codice della Strada, assumono rilievo anche i valori centesimali. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (Sezione Quarta Penale, Presidente A. Morgigni, Relatore F. Marinelli), con la sentenza n. 32055 del 7 luglio 2010 – depositata il 18 agosto 2010 (nella specie, in presenza del rilievo di un tasso alcoolemico pari ad 1,56, la Corte ha, pertanto, ritenuto che ricorresse la fattispecie di cui alla lettera c).
Illegittima l’aggravante di clandestinità
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 249 del 5 luglio 2010, dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 61, n. 11-bis cod. pen. (c.d. aggravante di clandestinità).
La qualità di immigrato «irregolare» – che si acquista con l’ingresso illegale nel territorio italiano o con il trattenimento dopo la scadenza del titolo per il soggiorno, dovuta anche a colposa mancata rinnovazione dello stesso entro i termini stabiliti – diventa uno “stigma” – argomenta la Corte costituzionale – che funge da premessa ad un trattamento penalistico differenziato del soggetto, i cui comportamenti appaiono, in generale e senza riserve o distinzioni, caratterizzati da un accentuato antagonismo verso la legalità. Le qualità della singola persona da giudicare rifluiscono nella qualità generale preventivamente stabilita dalla legge, in base ad una presunzione assoluta, che identifica un «tipo di autore» assoggettato, sempre e comunque, ad un più severo trattamento.
Ciò determina un contrasto tra la disciplina censurata e l’art. 25, secondo comma, Cost., che pone il fatto alla base della responsabilità penale e prescrive pertanto, in modo rigoroso, che un soggetto debba essere sanzionato per le condotte tenute e non per le sue qualità personali. Un principio, quest’ultimo, che senz’altro è valevole anche in rapporto agli elementi accidentali del reato.
La previsione considerata ferisce, in definitiva, il principio di offensività, giacché non vale a configurare la condotta illecita come più gravemente offensiva con specifico riferimento al bene protetto, ma serve a connotare una generale e presunta qualità negativa del suo autore.
Maltrattamenti, la Cassazione e il caso della moglie forte
A giudicare dai titoli dei principali giornali (“la moglie forte si può maltrattare”, “moglie forte, botte di marito lecite”, etc.), la recente sentenza n. 25138 della VI Sezione penale della Corte di Cassazione avrebbe affermato un principio davvero curioso, oltre che palesemente illogico e clamorosamente ingiusto, come del resto si sono affrettate a commentare le donne della politica, prontamente intervistate a margine. [Leggi di più…]
Demolizioni in aree vincolate, sospensione fino al 31 dicembre
Il disegno di legge di conversione in legge del D.L. 28 aprile 2010, n. 62, recante temporanea sospensione di talune demolizioni disposte dall’autorità giudiziaria in Campania, è stato approvato dal Senato con modificazioni nella seduta del 26 maggio 2010.
Queste le modifiche apportate in sede di conversione:
All’articolo 1, al comma 1, dopo le parole: «di tutela paesaggistica,» sono inserite le seguenti: «da attuare in sede di redazione del piano paesaggistico di cui all’articolo 143 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,»;
al comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In tale ultimo caso, si procede alla demolizione dopo il 31 dicembre 2010, ove la violazione del vincolo risulti dal piano paesaggistico di cui all’articolo 143 del citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, adottato entro il predetto termine, ovvero in caso di mancata adozione del medesimo piano entro il medesimo termine».
La modifica estende, di fatto, la portata applicativa della norma anche agli abusi realizzati (entro il 31 marzo 2003) nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico (tra le quali, i territori dei sei comuni dell’isola d’Ischia), sia pure limitando il periodo di operatività del meccanismo di sospensione ex lege (in presenza degli ulteriori presupposti) al 31 dicembre 2010.
Il disegno di legge è stato trasmesso alla Camera il 27 maggio ed assegnato alla VIII Commissione Ambiente.
Astensione avvocati e camera di consiglio
Il legittimo impedimento del difensore, quale causa di rinvio dell’udienza, non rileva nei procedimenti in camera di consiglio, per i quali è previsto che i difensori, il pubblico ministero e le altre parti interessate siano sentiti solo se compaiono. Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione (seconda sezione penale, Pres. Esposito, Relatore Casucci), con la sentenza 16 aprile – 17 maggio 2010 n. 18613.