Quando la società è in liquidazione, ossia quando l’impresa non si propone di restare sul mercato, ma ha come unico suo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo attivo tra i soci, la valutazione del giudice, ai fini dell’accertamento delle condizioni richieste per l’applicazione dell’art. 5 legge fallimentare, non può essere rivolta a stimare, in una prospettiva di continuazione dell’attività sociale, l’attitudine dell’impresa a disporre economicamente della liquidità necessaria a far fronte ai costi determinati dallo svolgimento della gestione aziendale, ma deve essere diretta, invece, ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali.
Il principio è stato ribadito dal Tribunale di Napoli (sez. fallimentare), il quale ha rigettato il ricorso per la dichiarazione di fallimento proposto da ex dipendenti di una società in house, titolari di diritti di credito derivanti dal cessato rapporto di lavoro, sul presupposto dell’accertata esistenza in bilancio di “elementi attivi che, se liquidati in modo efficace, consentirebbero di assicurare l’integrale soddisfacimento dei creditori sociali”.
Il punto è stato ritenuto assorbente rispetto alla questione, sollevata in via principale dalla difesa di parte resistente, relativa alla natura pubblicistica della società in house e la conseguente sua non assoggettabilità a fallimento.
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