Vi sono storie che il tempo ha tramutato in leggende, che si tramandano di generazione in generazione, arricchendosi ogni volta di nuovi particolari, sorprendenti, talvolta surreali. Che non smettono mai di essere raccontate. Questa che segue è una di quelle storie.
Aula penale. Sono poche le probabilità che l’imputato venga mandato assolto. Troppe e schiaccianti le prove raccolte nei suoi confronti. L’istruttoria dibattimentale ha confermato appieno la fondatezza dell’ipotesi accusatoria. I precedenti sono di ostacolo alla concessione del beneficio della sospensione condizionale. Il difensore ne è consapevole. E’ teso e la tensione gli si legge sul volto. Ben conosce la severità del giudice che ha di fronte. Il pubblico ministero ha formulato le sue pesanti richieste. Tocca ora a lui difendere l’indifendibile. L’arringa non convince. Alla richiesta principale di assoluzione si affretta ad aggiungere una subordinata affinché sia applicato il minimo della pena. Ma non basta: “in estremo subordine, signor Giudice, chiedo pietà…!”.
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