Che le moderne tecnologie possano rappresentare strumento di semplificazione ed accelerazione delle dinamiche interne alla giustizia civile è auspicio degli addetti ai lavori e dell’intera collettività. Pensiamo qui alla redazione materiale delle sentenze da parte dei giudici o alla stesura di qualsiasi altro provvedimento: l’uso del computer ha reso l’operazione più agevole per l’estensore ed ha, al tempo stesso, facilitato la successiva lettura. Non sempre, però, l’ausilio informatico viene adoperato per fini di efficienza. Anzi, talvolta lo scopo è tutt’altro che nobile. Lo dimostrano certe tecniche di redazione che finiscono per svuotare di significato il concetto stesso di sentenza, sostituendo al ragionamento del Magistrato quello svolto da una delle parti in causa nei propri scritti difensivi. E non mi riferisco, beninteso, ad argomenti utilizzati dal difensore e semplicemente citati o richiamati “per adesione” dal Giudice. Qui intendo riferirmi a casi clamorosi e, purtroppo, non del tutto isolati, di sentenze interamente copiate (ad esclusione della sola intestazione) dalle memorie (previamente depositate su supporto informatico…) dell’una o dell’altra parte: quelle conclusionali, in particolare, che maggiormente si prestano, per struttura compositiva, a fungere da “fonte”. Con risultati, spesso, ai limiti del paradosso. E così, è accaduto che, nella parte motiva di una sentenza, il Giudice Unico si sia riferito a se stesso come “a questo procuratore”, o abbia adoperato espressioni tipiche del linguaggio difensivo, talvolta con asprezza di toni nei confronti delle tesi espresse dalla controparte!
Vi è chi ha ipotizzato, in tali estremi casi, la nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione. Altri hanno evidenziato che, sul piano formale, il provvedimento presenti i requisiti di validità prescritti dalla legge. Di certo, però, non si sottrae a censura il comportamento di quel Magistrato che, di fatto, sia venuto meno ai doveri del suo Ufficio, dando corpo alla giustizia del copia/incolla.
Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialita’, correttezza, diligenza, laboriosita’, riserbo e equilibrio e rispetta la dignita’ della persona nell’esercizio delle funzioni.
Il magistrato, anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorche’ legittimi, che compromettano la credibilita’ personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria.
Quantomeno, dunque, sussistono i presupposti per l’applicazione di una sanzione disciplinare.
Massimo Coppa Zenari dice
Capisco (ma non approvo) la tecnica del copia-incolla: ma almeno si dovrebbe rileggere poi il tutto! E che diamine!
Gioacchino Celotti dice
già, talvolta è proprio questione di sciatteria. E’ questa che andrebbe sanzionata.