Un ricorso per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la durata irragionevole di una causa civile, viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello adita per l’incompletezza e l’inidoneità della documentazione depositata. L’opposizione proposta ai sensi dell’art. 5-ter legge n. 89/01 viene respinta dalla stessa Corte, in composizione collegiale. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22763 del 6 novembre 2015, cassa il decreto impugnato, ritenendo la domanda ammissibile.
L’art. 3, terzo comma, legge n. 89/01, come modificato dal D.L. n. 83/12, convertito con modificazioni in legge n. 134/12, dispone che unitamente al ricorso deve essere depositata copia autentica della citazione, del ricorso, delle comparse e delle memorie relative al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, dei verbali di causa e dei provvedimenti del giudice, incluso quello che ha definito il giudizio, ove questo si sia concluso con una sentenza od ordinanza irrevocabili; mentre l’art. 4 stabilisce che la domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva.
L’art. 3 legge Pinto – afferma il Supremo Collegio – non contiene alcuna espressa del fatto che la produzione degli atti e dei documenti sia condizione d’inammissibilità della domanda. Né ciò è ricavabile dall’avverbio “unicamente”, incipit del terzo comma dell’art. 3, affatto inidoneo di per sé solo a traslare la perentorietà del termine dell’art. 4 dal ricorso al relativo corredo documentale. La necessità di porre in essere un dato atto entro un termine perentorio, non significa che ogni altra attività processuale, ancorché connessa e coeva, debba compiersi sotto la medesima comminatoria.
Questo il principio di diritto, formulato dalla Suprema Corte ai sensi dell’art. 384, primo comma, c.p.c.:
Soggiace al termine perentorio stabilito dall’art. 4 legge n. 89/01 unicamente il deposito nella cancelleria della Corte d’Appello adita di un ricorso avente i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., richiamato dal primo comma dell’art. 3 stessa legge. Pertanto, il deposito degli atti e dei documenti elencati nel terzo comma del medesimo articolo può sopravvenire in qualunque momento utile, prima che il presidente della Corte o il consigliere da lui designato provvedano con decreto sulla domanda, ovvero nel termine eventualmente concesso ai sensi dell’art. 640, primo comma, c.p.c., richiamato dal successivo quarto comma dello stesso art. 3.
Lascia un commento