Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, peraltro confermativa di un proprio precedente in materia, ci fornisce un quadro aggiornato dei limiti all’utilizzo della posta elettronica certificata in ambito penale.
La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6320 (ud. 11 gennaio 2017 – deposito del 10 febbraio 2017) ha affermato che è legittima la notifica, effettuata ai sensi dell’art. 299, comma 4 bis cod. proc. pen., inviata tramite posta elettronica certificata dal difensore dell’imputato a quello della persona offesa.
Ha osservato il Collegio:
contrariamente a quanto assunto nell’ordinanza impugnata, dal menzionato art. 16 non può trarsi la conseguenza secondo cui le parti private nel processo penale non possono mai fare ricorso alla PEC. L’art. 16, comma 4, D.L. 16 ottobre 2012, n. 179, infatti, è diretto a disciplinare l’utilizzo della PEC da parte delle cancellerie, come reso evidente dallo stesso tenore letterale della disposizione. Esso statuisce che, mentre nei procedimenti civili tutte le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata secondo la normativa stabilita in tema di documenti informatici, nei processi penali, invece, la cancelleria può effettuare le notifiche con la PEC solo se l’atto è diretto a persona diversa dall’imputato. Tale norma, dunque, laddove prevede la possibilità della notificazione a mezzo PEC a “persona” diversa dall’imputato, sottende la volontà del legislatore di sottrarre a questo strumento di notifica, ma anche evidentemente ad altri analoghi, come il telefax, la notifica effettuata direttamente alla persona fisica dell’imputato (in questi termini cfr.: Cass., Sez. 4, n. 16622 del 31.3.2016, Rv 266529). Di contro, destinatari della notifica a mezzo PEC possono essere i difensori, le persone offese, le parti civili, i responsabili civili, i civilmente obbligati per la pena pecuniaria, ecc.: in sintesi, tutti coloro che prendono parte ad un processo penale e che non assumono la qualità di imputato. E’ evidente allora che l’unico divieto che può trarsi dal citato art. 16 è quello dell’inutilizzabilità della notifica a mezzo PEC a cura della cancelleria, qualora il destinatario sia l’imputato (persona fisica). Diversa è invece la fattispecie in esame, in cui viene in rilievo una notifica da effettuare non già all’imputato ma al difensore della persona offesa e ad opera del difensore dell’imputato.
Per essa devono ritenersi applicabili l’art. 152 c.p.p. e l’art. 48 del D. Lgs n. 82/2005 e successive mod. (c.d. Codice dell’amministrazione Digitale)
(…)
Sulla base dell’art. 48 dell’anzidetto Codice la notifica a mezzo PEC è equiparata alla notifica per mezzo della posta, salvo che la legge non disponga altrimenti; equivalenza che, come è di facile rilievo, trova la sua ragione nel fatto che la PEC offre le medesime certezze della raccomandata in ordine all’identificazione del mittente e all’avvenuta ricezione dell’atto (documentabile, in caso della PEC, attraverso la produzione del rapporto di consegna al destinatario e ricevuta di accettazione). In tale contesto normativo deve allora ritenersi che la lettera raccomandata, di cui può avvalersi il difensore ai sensi dell’art. 152 c.p.p., può essere sostituita dalla comunicazione a mezzo PEC, con la conseguenza che, nel caso in esame, la notifica effettuata a mezzo PEC dal difensore dell’imputato al difensore della persona offesa ex art. 299 c.p.p., deve ritenersi validamente effettuata.
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