L’obbligo di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione europea dev’essere conciliato con il rispetto del principio di legalità dei reati e delle pene. Pertanto, i giudici italiani, in procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di IVA, non sono tenuti a disapplicare le norme nazionali sulla prescrizione (sulla base della sentenza Taricco) se ciò contrasta con il suddetto principio.
Questo, in sintesi, il principio espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del 5 dicembre 2017, emessa all’esito di un procedimento accelerato e sul rinvio pregiudiziale della nostra Corte costituzionale, la quale aveva sollevato dubbi sulla compatibilità della soluzione che emerge dalla sentenza Taricco con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona. In particolare, secondo il Giudice delle Leggi italiano, questa soluzione potrebbe ledere il principio di legalità dei reati e delle pene, il quale impone, segnatamente, che le norme penali siano determinate con precisione e non possano essere retroattive. Essa aveva quindi deciso di chiedere un chiarimento sul significato da attribuire all’articolo 325 TFUE, letto alla luce della sentenza Taricco.
La Corte di Giustizia, con la pronuncia di ieri, si è così espressa:
L’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.
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