Può considerarsi ormai indirizzo giurisprudenziale consolidato, in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, quello secondo il quale la stessa non può affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva (anche per violazione del dovere di informazione), ed il risultato derivatone.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, Sez. III civ., con la sentenza del 24 maggio 2016, n. 10698, la quale richiama precedenti specifici conformi della stessa Sezione (tra le altre, Cass., 7 agosto 2002, n. 11901; Cass., 5 febbraio 2013, n. 2638).
Il danno risarcibile non può coincidere, insomma, con la condotta negligente del professionista, ma è necessario, per la sua configurabilità in concreto, che siano fornite allegazioni e prova in ordine alla sussistenza del nesso eziologico tra la condotta del professionista ed il pregiudizio derivato al cliente.
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