Con la sentenza n. 164, depositata in data odierna, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 575 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
La Consulta, dopo aver richiamato la propria pronuncia dello scorso anno (sent. n. 265), con la quale aveva già dichiarato costituzionalmente illegittima la norma censurata, nella parte in cui sancisce una presunzione assoluta – anziché soltanto relativa – di adeguatezza della sola custodia in carcere a soddisfare le esigenze cautelari nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti a sfondo sessuale: in particolare, per i reati di induzione o sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale e atti sessuali con minorenne (artt. 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater cod. pen.), ritiene che le considerazioni svolte in tale occasione possano valere, con gli opportuni adattamenti, anche nel caso del delitto di omicidio volontario: “nonostante l’indiscutibile gravità del fatto – la quale peserà opportunamente nella determinazione della pena inflitta all’autore, quando ne sia riconosciuta in via definitiva la colpevolezza – anche nel caso dell’omicidio, la presunzione assoluta di cui si discute non può considerarsi, in effetti, rispondente a un dato di esperienza generalizzato, ricollegabile alla «struttura stessa» e alle «connotazioni criminologiche» della figura criminosa”.