In tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica in circolazione è risarcibile non ex art. 2043 c.c., ma ai sensi dell’art. 2052 c.c., poiché tale ultima disposizione non contiene alcun espresso riferimento ai soli animali domestici, ma riguarda, in generale, quelli suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell’uomo, prescindendo dall’esistenza di una situazione di effettiva custodia degli stessi.
[Leggi di più…]Interruzione linea telefonica, risarcibile il danno non patrimoniale
Lo ha stabilito il Tribunale di Napoli, XII Sezione civile, in persona del Giudice Unico, dott. Caccese, pronunciandosi in grado di appello* su una domanda risarcitoria formulata da un utente privato che aveva lamentato la interruzione della linea per la durata di 19 giorni consecutivi.
[Leggi di più…]Responsabilità dell’avvocato e nesso di causalità
Può considerarsi ormai indirizzo giurisprudenziale consolidato, in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, quello secondo il quale la stessa non può affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva (anche per violazione del dovere di informazione), ed il risultato derivatone. [Leggi di più…]
Imputato assolto, non sempre il risarcimento è precluso
La persona che avevo querelato è stata condannata in primo grado dal Tribunale a sei mesi di reclusione e a risarcirmi i danni. Ha fatto appello e ora è stato incredibilmente (almeno per me) assolto perché il fatto non sussiste. Significa che ho perso ogni possibilità di ottenere il mio risarcimento?
Nella formulazione del quesito è stato omesso un dettaglio solo in apparenza secondario: se cioè l’assoluzione sia stata pronunciata ai sensi del 1° ovvero del 2° comma dell’art. 530 c.p.p.
La Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio secondo cui: “ai sensi dell’art. 652 (nell’ambito del giudizio civile di danni) e dell’art. 654 c.p.p. (nell’ambito di altri giudizi civili), il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche quando l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2” (cfr., Cass. civ. sez. 6, sent. 13 novembre 2013, n. 25538, Cass. civ., sez. lav., 11.2.2011, n. 3376, Cass. 9-3-2010 n. 5676, Cass. 30-10-2007 n. 22883).
Di recente, tale principio è stato ribadito dal Supremo Collegio (sez. lav., sent. 29 gennaio 2014, n. 1925), in fattispecie in cui l’imputato era stato assolto proprio con la formula “perché il fatto non sussiste“, ai sensi dell’articolo 530, comma 2, c.p.p.
Dunque, per rispondere al quesito posto, l’assoluzione non è in teoria di ostacolo alla riproposizione, in sede civile, dell’azione di risarcimento danni, ma solo se la formula adoperata dalla Corte di Appello è quella del 2° comma dell’art. 530 c.p.p. In tal caso, il Giudice civile potrà, infatti, procedere in modo autonomo alla rivalutazione del fatto e del materiale probatorio, pur dovendo comunque tener conto dell’esito dell’attività istruttoria espletata nel corso del processo penale.
E’ superfluo aggiungere che solo un’esame approfondito dell’intera vicenda (oltre che della motivazione della sentenza assolutoria) consentirebbe una risposta esaustiva e, soprattutto, coerente con la verità processuale del caso concreto.
Risoluzione per inadempimento in corso di causa, consentita contestuale domanda di risarcimento
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, a composizione di un contrasto, con la sentenza 11 aprile 2014, n. 8510 (Presidente L. A. Rovelli, Relatore A. Giusti) hanno enunciato il principio secondo cui la parte che, ai sensi dell’art. 1453, secondo comma, cod. civ., chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello ius variandi, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale.
Mostra i genitali ai vicini, condannato a risarcire il danno
Denunciato dai vicini, il gestore di uno stabilimento balneare del lido di Ischia viene condannato, in sede penale, ad € 600,00 di multa per il reato di cui all’art. 527 c.p., perché “in luogo pubblico compiva atti osceni abbassandosi i pantaloni e mostrando i propri organi genitali“.
I denuncianti si rivolgono quindi al giudice civile per ottenere il risarcimento dei danni.
Il Giudice di Pace di Ischia, dott.ssa Emanuela Michilli, con sentenza n. 414 bis depositata il 30 novembre 2012, accoglie la domanda e, per l’effetto, condanna il convenuto al pagamento in favore degli attori di una somma a titolo di risarcimento, oltre al pagamento delle spese processuali.
Circa la quantificazione del chiesto risarcimento – si legge nella sentenza – può, sussistendo in maniera inequivoca sia il fatto che il diritto all’ottenimento del ristoro, provvedersi in via equitativa, riconoscendo agli istanti la somma di € 500,00 cadauno.
Qua si va nel penale…
Danni da fatto illecito costituente reato: minacce semplici, lesioni non gravi. La persona offesa sporge formale querela ma i tempi lunghi della giustizia penale, quella minore, finiscono per scoraggiarla. Già, perché esiste per la giustizia penale una serie cadetta, che si barcamena tra le disfunzioni della macchina giudiziaria e, infine, affonda nell’oblio. Sta di fatto che la nostra P.O. decide di divenire attrice, confidando (forse, sperando) nei tempi migliori della giustizia civile: quella del Giudice di Pace, la scommessa dell’ultimo legislatore. [Leggi di più…]
Pubblicità ingannevole e risarcimento del danno
Il consumatore che, lamentando di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole (nella specie segno descrittivo “LIGHT” sul pacchetto di sigarette), agisca per il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, la quale si concreta nella prevedibilità che dalla diffusione di quel messaggio sarebbero derivate le lamentate conseguenze dannose. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (Sezione Terza Civile, Presidente G. B. Petti, Relatore A. Segreto), con la sentenza n. 26516 del 17 dicembre 2009.
Responsabilità da reato e prescrizione del diritto al risarcimento
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – alle quali, per evitare il formarsi di un contrasto con la precedente decisione a sezioni unite (sentenza n. 5121 del 2002), è stata rimessa la questione della durata del termine di prescrizione del risarcimento nell’ipotesi di reato procedibile a querela, non presentata – hanno affermato il seguente principio di diritto:
“Nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto“.