Tra le novità più discusse della riforma del processo civile, recentemente approvata dal Senato in via definitiva, l’introduzione, con l’art. 257-bis, della c.d. testimonianza scritta:
Il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 203, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.
Il giudice, con il provvedimento di cui al primo comma, dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone.
Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.
Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice.
Quando il testimone si avvale della facoltà d’astensione di cui all’articolo 249, ha l’obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione.
Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all’articolo 255, primo comma.
Quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti, essa può essere resa mediante dichiarazione sottoscritta dal testimone e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova è stata ammessa, senza il ricorso al modello di cui al secondo comma.
Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato.
E’ opinione diffusa che difficilmente il nuovo istituto sarà destinato ad una larga e frequente applicazione nella pratica, in primo luogo in quanto la previsione del necessario accordo delle parti restringerà i casi di possibile ricorso al modello alternativo scritto a poche marginali ipotesi, non potendosi di certo immaginare che le parti siano disposte tanto facilmente a rinunciare concordemente all’assunzione della prova più importante nella pienezza del contraddittorio. E’ possibile immaginare, invece, che, laddove ammessa, la testimoniannza scritta sia facilmente oggetto di rilievi e contestazioni dell’una e dell’altra parte che rendano così necessaria l’escussione del dichiarante nelle forme orali ordinarie. Con conseguente dilatazione dei tempi del procedimento (in contrasto con lo spirito della riforma).
Perplessità “gravi” aveva già espresso il Consiglio Superiore della Magistratura, chiamato a rendere il proprio parere sul ddl:
tale introduzione appare di dubbia compatibilità con il principio secondo cui prova testimoniale, per il nostro ordinamento, è solo quella che si forma nel processo avanti al giudice, dato che l’art. 111 della Costituzione presuppone lo svolgimento innanzi al giudice terzo ed imparziale del(l’intero) procedimento, e non di singole fasi o segmenti di esso. Si aggiunga che anche il suo effetto di semplificazione è assai discutibile, essendo agevolmente prevedibile l’emergere di contestazioni circa la corrispondenza delle dichiarazioni testimoniali ai quesiti proposti, o circa la necessità di sentire direttamente i testimoni per chiarimenti o specificazioni o per risolvere contrasti, con conseguenti effetti negativi sulla durata del processo. Inoltre, non sono state considerate le implicazioni derivanti dal ricorso alla testimonianza scritta nel processo contumaciale ove la parte contumace potrebbe essere condannata sulla base di testimonianze rese senza contraddittorio e raccolte fuori dal processo e non davanti al giudice. L’introduzione della testimonianza scritta contrasta infine con i principi del sistema processuale italiano in base ai quali sia l’atto notorio che la dichiarazione sostituiva del medesimo non costituiscono fonti legali di prova, ma devono essere considerati, alla stregua dei documenti, il cui contenuto può essere liberamente valutato dal giudice.